OPERAMONDO

Dans vos viviers, dans vos étangs,
Carpes,
que vous vivez longtemps!
Est-ce que la mort vous oublie,
Poissons de la mélancolie.

 

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TEATRO



 

IL TIRANNO DELLA SCENA

 

Gordon Craig ed Eleonora Duse: chi comanda?

Nel 1906 Isadora Duncan, la grande ballerina inventrice della danza moderna, fece conoscere il suo compagno Gordon Craig, dal quale aveva appena avuto una figlia, e Eleonora Duse. La Duncan ammirava smisuratamente entrambi ed era convinta che da questo incontro sarebbe nato qualcosa di importante. Eleonora Duse era la più grande attrice del suo tempo, rappresentante somma di quel teatro che passò alla storia come teatro del grande attore. Gordon Craig, figlio di una attrice e di un architetto, era stato a sua volta precocissimo attore, ma ora era scenografo, regista, teorico e profeta di un nuovo teatro. La Duse non conosceva l’inglese e Craig non conosceva l’italiano. Fu una fortuna, ci racconta la Duncan nella sua autobiografia, perché così lei, che faceva da interprete, potette evitare che tutto finisse prima ancora di cominciare. Infatti i due avevano del teatro concetti molto differenti. Si parlava della possibilità di mettere in scena il dramma Rosmersholm di Ibsen. Per la Duse era naturale che la scena fosse concepita secondo le indicazioni dell’autore: “una sala arredata con mobili in vecchio stile”. Craig invece sognava uno spazio astratto, metafisico, che ricordasse addirittura un tempio egizio. Fu un duro lavoro per la Duncan quella traduzione: Secondo Ibsen la piccola finestra sul fondo dovrebbe guardare su un viale alberato che conduce a un cortile, Craig voleva invece un’apertura di dieci metri per dodici, che dava su un panorama fiammeggiante, con dei rossi, dei gialli, dei verdi, che poteva evocare le rive del Nilo, ma che non faceva certo pensare al cortile di una vecchia casa. Eleonora, sconcertata, diceva: “Se si dice che deve esserci una finestra piuttosto piccola, non possiamo metterne una grande”, Craig allora scoppiava a dire: ”Dì a questa benedetta donna che non deve occuparsi di affari che non la riguardano”. Io traducevo: “Craig ha detto che ammira la vostra idea e che farà di tutto per accontentarvi”. Poi mi rivolgevo a Craig e traducevo le obiezioni della Duse: “Eleonora mi dice che sei un genio e che non farà nessuna critica ma accetterà i tuoi bozzetti come sono”. Le discussioni si ripeterono e duravano a volte ore intere. La Duncan, che in quel periodo allattava, era talmente affaticata dalla tensione di dover accomodare con la traduzione le frasi perentorie dei due da finire ammalata. Alla fine si cominciarono i lavori di allestimento. Craig si chiuse nel teatro Alla Pergola di Firenze, con pennelli e colori e non voleva nessuno tra i piedi. Era preso dal furore sacro della creazione. La Duncan occupava i pomeriggi della Duse con passeggiate per Firenze. Era necessario che non vedesse cosa stava succedendo in teatro. Racconta ancora la danzatrice: Non dimenticherò mai la figura della Duse nel giardino di Boboli: non sembrava una donna di questa terra, aveva l’aria di un personaggio di Dante o di Petrarca, rimasto tra noi per qualche misterioso caso. La gente che incontravamo si scostava al nostro passaggio e ci guardava con occhi rispettosi e stupiti. Arrivò alla fine il giorno in cui Eleonora Duse entrò in teatro. La Duncan era al sommo dell’agitazione. Che cosa sarebbe successo? Come avrebbe reagito l’attrice nello scoprire che il regista-scenografo non aveva rispettato nessuno degli ordini che lei aveva dato? La Duse era abituata ad essere obbedita. Tenendole la mano e accarezzandola amorevolmente io le dissi: “ancora un momento e vedrete tutto… un po’ di pazienza…” ma tremavo di paura pensando a quella finestra gigantesca. Di tanto in tanto da dietro il sipario si udiva la voce esasperata di Craig che cercava di parlare italiano e che gridava: “Perdio, perché non l’avete messo là?.. perché non fate quello che vi dico?”. Poi ritornava il silenzio. Finalmente, dopo un’attesa mortale, che mi parve senza fine, mentre vedevo ormai Eleonora sul punto di avere una crisi di nervi, il sipario si alzò lentamente. Come posso descrivere quell’attimo, e ciò che apparve ai nostri occhi attoniti ed estasiati? Si trattava di un tempio egizio? Ma nessun tempio fu mai così maestoso, nessun tempio gotico, nessun palazzo ateniese. Non avevo mai visto nulla di così affascinante. Al di là di spazi azzurri, di armonie celesti, di linee ascendenti, al di là di masse colossali, l’animo era trasportato verso la luce di quella grande finestra oltre la quale non si stendeva un piccolo viale, ma l’infinito. Tra quegli azzurri c’erano tutte le meditazioni, tutte le riflessioni, tutta la tristezza dell’uomo. Dagli occhi della Duse scendevano lacrime di gioia. Per qualche minuto restò in silenzio abbracciata alla Duncan a guardare quello che non si era assolutamente aspettata di vedere, che non aveva mai visto. Poi salì sul palcoscenico, prese per mano Craig, chiamò tutta la compagnia e lo presentò come il genio del teatro, alla consacrazione del quale avrebbe dedicato il resto della sua vita artistica. Cominciarono le prove. La Duncan racconta che la Duse cambiò completamente il suo progetto interpretativo. Si vestì con un costume bianco dalle grandi maniche che cadevano quasi fino a terra. Si muoveva sulla scena con un’aria ispirata, trascurando i dettagli: Quando apparve sembrava più la Sibilla delfica che Rebecca West. Con il suo talento s’era adattata alla maestosità della scena, aveva modificato tutti i gesti e tutti i movimenti e si muoveva sul palcoscenico come una profetessa che predicesse il futuro. Dopo qualche mese Craig ricevette un telegramma dalla Duse: Reciterò Rosmersholm a Nizza. Le scene sono insufficienti, venite subito. Quando Craig entrò al teatro del Vecchio Casinò vide la sua scena divisa per metà. La Duse non ne sapeva nulla, ma il regista, appena la vide, la investì come una furia accusandola di aver rovinato il suo capolavoro. L’attrice ascoltò in silenzio la sfuriata e, alla fine, gli indicò la porta: non fatevi mai più vedere da me.

IL TIRANNO DELLA SCENA PARTE PRIMA

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