OPERAMONDO

Dans vos viviers, dans vos étangs,
Carpes,
que vous vivez longtemps!
Est-ce que la mort vous oublie,
Poissons de la mélancolie.

 

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OPERA



 ITALIA: IL NUOVO STILE MONODICO E LA NASCITA DELL’OPERA

Firenze, autunno 1600

In occasione delle feste per le nozze tra Maria de’ Medici e Enrico IV di Francia, gli invitati ascoltano un nuovo tipo di musica e assistono, per la prima volta, a spettacoli interamente cantati. Il 5 ottobre, durante un banchetto a Palazzo Vecchio, si canta la Contesa tra Giunone e Minerva, musica di Emilio del Cavaliere e versi di Giovan Battista Guarini. Il giorno dopo a Palazzo Pitti si rappresenta l’Euridice, musica di Jacopo Peri (alcuni brani sono di Giulio Caccini) su versi di Ottavio Rinuccini. Il 9 dello stesso mese nel Teatro Mediceo degli Uffizi va in scena Il rapimento di Cefalo di Caccini e collaboratori su testo di Chiabrera. 

Due sono le grandi novità: il nuovo stile musicale e il fatto che per la prima volta un dramma sia interamente cantato. Per quanto riguarda lo stile musicale, chiamato stile monodico fiorentino, siamo in presenza di una reazione umanistica alla polifonia di impronta fiamminga. Un gruppo di musicisti della cerchia del conte Bardi (la ‘Camerata de’ Bardi’) decide di riportare a vita lo stile musicale antico che, secondo i loro studi, era improntato alla più grande semplicità e permetteva la perfetta udibilità delle parole. In questo modo gli ‘affetti’, cioè i sentimenti, sono meglio espressi, come scrive Giulio Caccini (1546-1618) stesso nella prefazione alle Nuove musiche: “quei canti per una voce sola parendo a me che avessero più forza per dilettare e muovere che le più voci insieme". Lo studio degli scritti antichi sulla musica aveva portato ad una conclusione: il segreto della musica greca consisteva tutto nella perfetta unione tra parole e melodia. In questa unione la parte predominante, la funzione generativa era svolta dalla parola, come afferma ancora Caccini nella prefazione a Le nuove musiche: “Platone e altri filosofi affermarono la musica altro non essere che la favella e il ritmo et il suono per ultimo, e non lo contrario”. Questo principio generale genera alcune regole alle quali il musicista deve attenersi: il testo deve essere perfettamente comprensibile, quindi il canto deve essere a una sola voce, con un semplice accompagnamento strumentale, di un liuto per esempio. La polifonia contrappuntistica viene quindi esclusa perché non permette la chiara comprensione delle parole, cantate simultaneamente e con diverso ritmo per ciascuna parte. Alla stessa volontà di restaurare il teatro antico risponde la scelta di far cantare il dramma dall’inizio alla fine, come risulta da quanto scrive Jacopo Peri nella introduzione a Euridice: “Stimai che gli antichi Greci e Romani (i quali, secondo l’opinione di molti, cantavano sulla scena la tragedia intera) usassero un’armonia, che avanzando quella del parlare ordinario, scendesse tanto dalla melodia del cantare che pigliasse forma di cosa mezzana”. Il musicista quindi compone la melodia e l’accompagnamento soprattutto tenendo presente il significato delle parole e imitando il fraseggio di una voce umana emozionata.

 

 

 

 




 

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