OPERAMONDO

 

Dans vos viviers, dans vos étangs,
Carpes,
que vous vivez longtemps!
Est-ce que la mort vous oublie,
Poissons de la mélancolie.

 

UN MONDO DI LIBRI

UN LIBRO DEL MONDO

 

VAGHE.STELLE

 


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CATULLO
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IL CANZONIERE EROTICO

PIU' INFUOCATO DELL'ANTICHITA'

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A chi dedicherò questo libretto

Ehi, passero, delizia della mia

Piangi, Venere, e piangi tu, Cupìdo

Viviamo nell’amore, Lesbia mia!

Quando sarò sazio di baci? Questo

Ah, povero Catullo, cosa speri?

A te in bocca e a te dritto nel culo

Amore mio, Ipsitilla, io ti prego

Ah, Celio, la mia Lesbia, la mia Lesbia

Ah, il cuore, Lesbia mia, il mio cuore

Presente suo marito, mi ricopre

Odio e amo.

E’ uno scheletro, Gellio! Ma per forza!

Mi copre d’insulti la mia Lesbia

Se qualcosa di noi, Calvo, può giungere

Ah fratello, fratello! Trascinato

A me prometti tu, anima mia

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I. Cui dono lepidum novum libellum  

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A chi dedicherò questo libretto,

nuovissimo e prezioso, ancora lucido

di pietra pomice? A te, Cornelio,

che alle piccole mie cose dai valore

fin da quando, tu solo, osavi mettere

in tre pesanti e dottissimi tomi

tutta, mio dio, la storia universale.

Per quel poco che vale, il mio libretto

consideralo tuo. E tu, musa,

concedi a questi versi lunga vita. OPERAMONDOlibri LATORRE EDITORE

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II. Passer, deliciae meae puellae,  

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Ehi, passero, delizia della mia

ragazza! Lei ti tiene sul suo seno,

gioca con te, ti provoca col dito,

che tu becchi rabbioso. Il desiderio

incandescente trova un non so che

di requie in questo gioco, quando il fuoco

che m’arde s‘acquieta. Ah, fammi giocare

con te, come fa lei, per strapparmi

da dentro il cuore la malinconia.

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III. Lugete, o Veneres Cupidinesque,

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   Piangi, Venere, e piangi tu, Cupìdo,

piangete tutti, uomini gentili:

il passero che lei, la mia ragazza,

amava più degli occhi, non c’è più!

E’ morto l’uccellino del mio amore!

Come un bambino la riconosceva,

le saltellava intorno e non voleva

allontanarsi mai. Solo per lei

cinguettava. Ora cammina in silenzio

lungo la via oscura da cui nessuno

fa mai ritorno. Sia maledetta

la morte senza cuore che divora

tutte le cose belle! Il passerotto,

il povero uccellino, non c’è più!

Piange la mia ragazza e i suoi occhi,

si gonfiano e s’arrossano di lacrime.

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V. Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,

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Viviamo nell’amore, Lesbia mia!

E i vecchi astiosi e i loro brontolii

non valgano per noi neanche un centesimo.

Ogni giorno finisce e poi ritorna,

ma quando il breve giorno della vita

avrà visto il tramonto, dormiremo

una notte senza fine. Ora dammi

mille baci, poi cento e poi altri mille,

e ancora cento, mia cara, e ancora mille.

Quando saranno cento volte mille

confonderemo i conti, che nessuno

possa farci il malocchio, conoscendo

un così grande numero di baci. 

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VII. Quaeris quot mihi basiationes

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Quando sarò sazio di baci? Questo

mi chiedi, mia Lesbia? Quando saranno

tanti come i granelli delle dune

che assediano i filari di Cirene,

tra il rovente oracolo di Giove

e l’urna sacra dell’antico Batto;

quando saranno tante come in cielo,

nel silenzio della notte, le stelle

che guardano dall’alto degli uomini

gli amori clandestini. Ecco, tu baciami

con così tanti baci che i pettegoli

non possano contarli e far malie.

Solo così sarà sazio Catullo.

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  VIII. Miser Catulle, desinas ineptire,

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Ah, povero Catullo, cosa speri?

Quando una cosa è finita, è finita.

Come il sole brillarono i tuoi giorni,

quando colei, che tu amasti come

nessuna al mondo mai sarà più amata,

diceva “vieni” e tu, pronto, correvi.

Nessun gioco d’amore ti negava:

ciò che volevi tu, lei lo voleva.

Come il sole brillarono i tuoi giorni!

Ora non vuole più e tu sii forte,

non inseguirla come un accattone.

Se ti ha lasciato, lasciala, che vada!

Addio, ragazza, vedi, il tuo Catullo

resiste. Non verrò mai più a cercarti,

non ti voglio per forza, però tu,

ora che non ti voglio, piangerai.

Che cosa ti darà di più la vita?

Chi ti amerà? Di chi sarai l‘amante?

Chi bacerai? Chi morderà le labbra…

Ma tu resisti, Catullo, resisti.

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XVI. Pedicabo ego vos et inrumabo,

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A te in bocca e a te dritto nel culo

voglio ficcarvelo, Aurelio e Furio.

Pensate, succhiacazzi e rottinculo,

che sia dei vostri perché ho scritto qualche

verso libidinoso? Il poeta

deve essere casto, ma chi ha detto

che lo devono essere i suoi versi?

Se non fossero lascivi e spudorati

sarebbero scipiti e senza nerbo,

incapaci di farglielo grattare,

non dico ai ragazzini, ma ai pelosi

scimmioni che non danno più di schiena.

Ma voi, perché leggete, brutte checche,

di migliaia di baci, giudicate

me come un effeminato? In bocca,

Furio e Aurelio, ve lo ficco, e nel culo.

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XXXII. Amabo, mea dulcis Ipsitilla,

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Amore mio, Ipsitilla, io ti prego,

fichetta mia, delizia, di aspettarmi:

oggi vengo da te, nel pomeriggio.

Dimmi di sì, tesoro, non sprangare

la porta e non uscire, resta in casa

e tienti pronta. Almeno nove volte

ho voglia di scoparti. Anzi, se vuoi,

dimmi “vieni” soltanto e arrivo subito.

Son qui, sdraiato dopo pranzo, e supino

alzo col cazzo tunica e mantello.

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LVIII. Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa,

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Ah, Celio, la mia Lesbia, la mia Lesbia

quella Lesbia che ho amato

più di ogni cosa e di me stesso, quella,

agli angoli di strada e nei vicoli

ora lo succhia a tutti quanti i figli

del grande padre Remo.

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LXXV. Huc est mens deducta tua, mea Lesbia, culpa,

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Ah, il cuore, Lesbia mia, il mio cuore,

troppo pazzo di te, ha consumato

ogni sua forza ad esserti fedele.

Anche se cambierai,

non potrà più teneramente amarti

né, per quanto tu faccia,

potrà cessare di desiderarti.

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LXXXIII. Lesbia mi praesente viro mala plurima dicit:

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Presente suo marito, mi ricopre

di ingiurie, la mia Lesbia. Lui è contento,

gongola di felicità, il cazzone.

Ehi, cervello di mulo, stesse zitta,

sarebbe chiaro segno ch’è finita.

Se grida e se straparla,

vuol dire che ricorda. Se è rabbiosa,

è l’amore che rugge.

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LXXXV. Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.  

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Odio e amo.

Come può essere?, mi chiedi.

Io non lo so,

ma sento che è così

e dentro mi consumo.

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LXXXIX. Gellius est tenuis: quid ni? cui tam bona mater  

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E’ uno scheletro, Gellio! Ma per forza!

Con una madre grande scopatrice

e una sorella fica come poche!

Con uno zio cornuto e stracontento

e tutta quella schiera di cugine,

e procugine, e parentelle varie,

come fa a non essere uno scheletro

Anche se scopa soltanto in famiglia,

gli basta, eccome, a finire spolpato.

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XCII. Lesbia mi dicit semper male nec tacet umquam    

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Mi copre d’insulti la mia Lesbia

e non tace un secondo: mi ama!

Io copro lei d’insulti: che muoia

se non l’amo più di quanto m’ama.

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XCVI. Si quicquam mutis gratum acceptumve sepulcris  

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Se qualcosa di noi, Calvo, può giungere

fino al silenzio delle tombe, se

il tenero pianto di nostalgia

può lambirle con dolcezza, Quintilia,

vedendo le tue lacrime, si placa

nel ricordo dell’amore e dimentica

che la sua vita è stata troppo breve.

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CI. Multas per gentes et multa per aequora vectus    

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Ah fratello, fratello! Trascinato

per molte genti                  

                                e per molti mari,

sono arrivato qui. Ecco le offerte

che si devono ai morti, nudi riti

d’addio, parole vane per le ceneri

silenziose.                            

                        Brutalmente il destino

ti ha rapito a me, povero fratello.

Ora non restano che gli antichi onori

dei padri che tristemente ti rendo

e le parole d’addio:

                                                per sempre,

fratello, addio, fratello mio, per sempre.

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CIX. Iocundum, mea vita, mihi proponis amorem

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A me prometti tu, anima mia,

un amore senz’ombre e senza fine.

Che tu parli col cuore e che mantenga

la tua promessa, questo chiedo al Cielo.

Che duri sempre e che sia sempre sacro

questo patto reciproco d’amore.

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Pria che l'ami!

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