OPERAMONDO

Dans vos viviers, dans vos étangs,
Carpes,
que vous vivez longtemps!
Est-ce que la mort vous oublie,
Poissons de la mélancolie.

 

UN MONDO DI LIBRI

UN LIBRO DEL MONDO

 

VAGHE.STELLE





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DANTE

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SELEZIONE PARADISO

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1. e cominciò “Le cose tutte quante

 

2. S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore

 

3. “Osanna, sanctus Deus sabaòth,

 

4. Guardando nel suo Figlio con l'Amore

 

5. Io vidi più folgór vivi e vincenti

 

6. Indi, come orologio che ne chiami

 

7. E come a buon cantor buon citarista

 

8. Il nome del bel fior ch'io sempre invoco

 

9. Come sùbito lampo che discetti

 

10. “Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

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1. e cominciò “Le cose tutte quante

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e cominciò: «Le cose tutte quante

hanno ordine tra loro, e questo è forma

che l'universo a Dio fa simigliante.

Qui veggion l'alte creature l'orma

de l'etterno valore, il qual è fine

al quale è fatta la toccata norma.

Ne l'ordine ch'io dico sono accline

tutte nature, per diverse sorti,

più al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi porti

per lo gran mar de l'essere, e ciascuna

con istinto a lei dato che la porti.

Questi ne porta il foco inver' la luna;

questi ne' cor mortali è permotore;

questi la terra in sé stringe e aduna;

né pur le creature che son fore

d'intelligenza quest' arco saetta,

ma quelle c'hanno intelletto e amore.

La provedenza, che cotanto assetta,

del suo lume fa 'l ciel sempre quïeto

nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;

e ora lì, come a sito decreto,

cen porta la virtù di quella corda

che ciò che scocca drizza in segno lieto.

Vero è che, come forma non s'accorda

molte fïate a l'intenzion de l'arte,

perch' a risponder la materia è sorda,

così da questo corso si diparte

talor la creatura, c'ha podere

di piegar, così pinta, in altra parte;

e sì come veder si può cadere

foco di nube, sì l'impeto primo

l'atterra torto da falso piacere.

Non dei più ammirar, se bene stimo,

lo tuo salir, se non come d'un rivo

se d'alto monte scende giuso ad imo.

Maraviglia sarebbe in te se, privo

d'impedimento, giù ti fossi assiso,

com' a terra quïete in foco vivo».

Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.

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PARADISO, I 88-142

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2. S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore

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«S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore

di là dal modo che 'n terra si vede,

sì che del viso tuo vinco il valore,

non ti maravigliar, ché ciò procede

da perfetto veder, che, come apprende,

così nel bene appreso move il piede.

Io veggio ben sì come già resplende

ne l'intelletto tuo l'etterna luce,

che, vista, sola e sempre amore accende;

e s'altra cosa vostro amor seduce,

non è se non di quella alcun vestigio,

mal conosciuto, che quivi traluce.

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PARADISO, V 1-12

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3. “Osanna, sanctus Deus sabaòth,

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«Osanna, sanctus Deus sabaòth,

superillustrans claritate tua

felices ignes horum malacòth!».

 

Così, volgendosi a la nota sua,

fu viso a me cantare essa sustanza,

sopra la qual doppio lume s'addua;

ed essa e l'altre mossero a sua danza,

e quasi velocissime faville

mi si velar di sùbita distanza.

Io dubitava e dicea 'Dille, dille!'

fra me, 'dille' dicea, 'a la mia donna

che mi diseta con le dolci stille'.

Ma quella reverenza che s'indonna

di tutto me, pur per Be e per ice,

mi richinava come l'uom ch'assonna.

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PARADISO, VII 1-15

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4. Guardando nel suo Figlio con l'Amore

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Guardando nel suo Figlio con l'Amore

che l'uno e l'altro etternalmente spira,

lo primo e ineffabile Valore

quanto per mente e per loco si gira

con tant' ordine fé, ch'esser non puote

sanza gustar di lui chi ciò rimira.

Leva dunque, lettore, a l'alte rote

meco la vista, dritto a quella parte

dove l'un moto e l'altro si percuote;

e lì comincia a vagheggiar ne l'arte

di quel maestro che dentro a sé l'ama,

tanto che mai da lei l'occhio non parte.

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PARADISO, X 1-12

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5. Io vidi più folgór vivi e vincenti

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Io vidi più folgór vivi e vincenti

far di noi centro e di sé far corona,

più dolci in voce che in vista lucenti:

così cinger la figlia di Latona

vedem talvolta, quando l'aere è pregno,

sì che ritenga il fil che fa la zona.

Ne la corte del cielo, ond' io rivegno,

si trovan molte gioie care e belle

tanto che non si posson trar del regno;

e 'l canto di quei lumi era di quelle;

chi non s'impenna sì che là sù voli,

dal muto aspetti quindi le novelle.

Poi, sì cantando, quelli ardenti soli

si fuor girati intorno a noi tre volte,

come stelle vicine a' fermi poli,

donne mi parver, non da ballo sciolte,

ma che s'arrestin tacite, ascoltando

fin che le nove note hanno ricolte.

E dentro a l'un senti' cominciar: «Quando

lo raggio de la grazia, onde s'accende

verace amore e che poi cresce amando,

multiplicato in te tanto resplende,

che ti conduce su per quella scala

u' sanza risalir nessun discende;

qual ti negasse il vin de la sua fiala

per la tua sete, in libertà non fora

se non com' acqua ch'al mar non si cala.

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PARADISO, X 64-90

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6. Indi, come orologio che ne chiami

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Indi, come orologio che ne chiami

ne l'ora che la sposa di Dio surge

a mattinar lo sposo perché l'ami,

 

che l'una parte e l'altra tira e urge,

tin tin sonando con sì dolce nota,

che 'l ben disposto spirto d'amor turge;

così vid' ïo la gloriosa rota

muoversi e render voce a voce in tempra

e in dolcezza ch'esser non pò nota

se non colà dove gioir s'insempra.

 

PARADISO, X 139-148

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7. E come a buon cantor buon citarista

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E come a buon cantor buon citarista

fa seguitar lo guizzo de la corda,

in che più di piacer lo canto acquista,

 

sì, mentre ch'e' parlò, sì mi ricorda

ch'io vidi le due luci benedette,

pur come batter d'occhi si concorda,

con le parole mover le fiammette.

 

PARADISO, XX 142-148

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8. Il nome del bel fior ch'io sempre invoco

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Il nome del bel fior ch'io sempre invoco

e mane e sera, tutto mi ristrinse

l'animo ad avvisar lo maggior foco;

 

e come ambo le luci mi dipinse

il quale e il quanto de la viva stella

che là sù vince come qua giù vinse,

 

per entro il cielo scese una facella,

formata in cerchio a guisa di corona,

e cinsela e girossi intorno ad ella.

 

Qualunque melodia più dolce suona

qua giù e più a sé l'anima tira,

parrebbe nube che squarciata tona,

 

comparata al sonar di quella lira

onde si coronava il bel zaffiro

del quale il ciel più chiaro s'inzaffira.

 

«Io sono amore angelico, che giro

l'alta letizia che spira del ventre

che fu albergo del nostro disiro;

 

e girerommi, donna del ciel, mentre

che seguirai tuo figlio, e farai dia

più la spera supprema perché lì entre».

 

Così la circulata melodia

si sigillava, e tutti li altri lumi

facean sonare il nome di Maria.

 

 

PARADISO, XXIII 88-111

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9. Come sùbito lampo che discetti

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Come sùbito lampo che discetti

li spiriti visivi, sì che priva

da l'atto l'occhio di più forti obietti,

 

così mi circunfulse luce viva,

e lasciommi fasciato di tal velo

del suo fulgor, che nulla m'appariva.

 

«Sempre l'amor che queta questo cielo

accoglie in sé con sì fatta salute,

per far disposto a sua fiamma il candelo».

 

Non fur più tosto dentro a me venute

queste parole brievi, ch'io compresi

me sormontar di sopr' a mia virtute;

 

e di novella vista mi raccesi

tale, che nulla luce è tanto mera,

che li occhi miei non si fosser difesi;

 

e vidi lume in forma di rivera

fulvido di fulgore, intra due rive

dipinte di mirabil primavera.

 

Di tal fiumana uscian faville vive,

e d'ogne parte si mettien ne' fiori,

quasi rubin che oro circunscrive;

 

poi, come inebrïate da li odori,

riprofondavan sé nel miro gurge,

e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.

 

«L'alto disio che mo t'infiamma e urge,

d'aver notizia di ciò che tu vei,

tanto mi piace più quanto più turge;

 

ma di quest' acqua convien che tu bei

prima che tanta sete in te si sazi»:

così mi disse il sol de li occhi miei.

 

Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi

ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe

son di lor vero umbriferi prefazi.

 

Non che da sé sian queste cose acerbe;

ma è difetto da la parte tua,

che non hai viste ancor tanto superbe».

 

Non è fantin che sì sùbito rua

col volto verso il latte, se si svegli

molto tardato da l'usanza sua,

 

come fec' io, per far migliori spegli

ancor de li occhi, chinandomi a l'onda

che si deriva perché vi s'immegli;

 

e sì come di lei bevve la gronda

de le palpebre mie, così mi parve

di sua lunghezza divenuta tonda.

 

Poi, come gente stata sotto larve,

che pare altro che prima, se si sveste

la sembianza non süa in che disparve,

 

così mi si cambiaro in maggior feste

li fiori e le faville, sì ch'io vidi

ambo le corti del ciel manifeste.

 

O isplendor di Dio, per cu' io vidi

l'alto trïunfo del regno verace,

dammi virtù a dir com' ïo il vidi!

 

Lume è là sù che visibile face

lo creatore a quella creatura

che solo in lui vedere ha la sua pace.

 

E' si distende in circular figura,

in tanto che la sua circunferenza

sarebbe al sol troppo larga cintura.

 

Fassi di raggio tutta sua parvenza

reflesso al sommo del mobile primo,

che prende quindi vivere e potenza.

 

E come clivo in acqua di suo imo

si specchia, quasi per vedersi addorno,

quando è nel verde e ne' fioretti opimo,

 

sì, soprastando al lume intorno intorno,

vidi specchiarsi in più di mille soglie

quanto di noi là sù fatto ha ritorno.

 

E se l'infimo grado in sé raccoglie

sì grande lume, quanta è la larghezza

di questa rosa ne l'estreme foglie!

 

La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza

non si smarriva, ma tutto prendeva

il quanto e 'l quale di quella allegrezza.

 

Presso e lontano, lì, né pon né leva:

ché dove Dio sanza mezzo governa,

la legge natural nulla rileva.

 

Nel giallo de la rosa sempiterna,

che si digrada e dilata e redole

odor di lode al sol che sempre verna,

 

qual è colui che tace e dicer vole,

mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira

quanto è 'l convento de le bianche stole!

 

Vedi nostra città quant' ella gira;

vedi li nostri scanni sì ripieni,

che poca gente più ci si disira.

 

PARADISO, XXX, 46-132

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10. “Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

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«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura

termine fisso d'etterno consiglio,

 

tu se' colei che l'umana natura

nobilitasti sì, che 'l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

 

Nel ventre tuo si raccese l'amore,

per lo cui caldo ne l'etterna pace

così è germinato questo fiore.

 

Qui se' a noi meridïana face

di caritate, e giuso, intra ' mortali,

se' di speranza fontana vivace.

 

Donna, se' tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia e a te non ricorre,

sua disïanza vuol volar sanz' ali.

 

La tua benignità non pur soccorre

a chi domanda, ma molte fïate

liberamente al dimandar precorre.

 

In te misericordia, in te pietate,

in te magnificenza, in te s'aduna

quantunque in creatura è di bontate.

 

Or questi, che da l'infima lacuna

de l'universo infin qui ha vedute

le vite spiritali ad una ad una,

 

supplica a te, per grazia, di virtute

tanto, che possa con li occhi levarsi

più alto verso l'ultima salute.

 

E io, che mai per mio veder non arsi

più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi

ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

 

perché tu ogne nube li disleghi

di sua mortalità co' prieghi tuoi,

sì che 'l sommo piacer li si dispieghi.

 

Ancor ti priego, regina, che puoi

ciò che tu vuoli, che conservi sani,

dopo tanto veder, li affetti suoi.

 

Vinca tua guardia i movimenti umani:

vedi Beatrice con quanti beati

per li miei prieghi ti chiudon le mani!».

 

Li occhi da Dio diletti e venerati,

fissi ne l'orator, ne dimostraro

quanto i devoti prieghi le son grati;

 

indi a l'etterno lume s'addrizzaro,

nel qual non si dee creder che s'invii

per creatura l'occhio tanto chiaro.

 

E io ch'al fine di tutt' i disii

appropinquava, sì com' io dovea,

l'ardor del desiderio in me finii.

 

Bernardo m'accennava, e sorridea,

perch' io guardassi suso; ma io era

già per me stesso tal qual ei volea:

 

ché la mia vista, venendo sincera,

e più e più intrava per lo raggio

de l'alta luce che da sé è vera.

 

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio

che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede,

e cede la memoria a tanto oltraggio.

 

Qual è colüi che sognando vede,

che dopo 'l sogno la passione impressa

rimane, e l'altro a la mente non riede

 

cotal son io, ché quasi tutta cessa

mia visïone, e ancor mi distilla

nel core il dolce che nacque da essa.

 

Così la neve al sol si disigilla;

così al vento ne le foglie levi

si perdea la sentenza di Sibilla.

 

O somma luce che tanto ti levi

da' concetti mortali, a la mia mente

ripresta un poco di quel che parevi,

 

e fa la lingua mia tanto possente,

ch'una favilla sol de la tua gloria

possa lasciare a la futura gente;

 

ché, per tornare alquanto a mia memoria

e per sonare un poco in questi versi,

più si conceperà di tua vittoria.

 

Io credo, per l'acume ch'io soffersi

del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito,

se li occhi miei da lui fossero aversi.

 

E' mi ricorda ch'io fui più ardito

per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi

l'aspetto mio col valore infinito.

 

Oh abbondante grazia ond' io presunsi

ficcar lo viso per la luce etterna,

tanto che la veduta vi consunsi!

 

Nel suo profondo vidi che s'interna,

legato con amore in un volume,

ciò che per l'universo si squaderna:

 

sustanze e accidenti e lor costume

quasi conflati insieme, per tal modo

che ciò ch'i' dico è un semplice lume.

 

La forma universal di questo nodo

credo ch'i' vidi, perché più di largo,

dicendo questo, mi sento ch'i' godo.

 

Un punto solo m'è maggior letargo

che venticinque secoli a la 'mpresa

che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.

 

Così la mente mia, tutta sospesa,

mirava fissa, immobile e attenta,

e sempre di mirar faceasi accesa.

 

A quella luce cotal si diventa,

che volgersi da lei per altro aspetto

è impossibil che mai si consenta;

 

però che 'l ben, ch'è del volere obietto,

tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella

è defettivo ciò ch'è lì perfetto.

 

Omai sarà più corta mia favella,

pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante

che bagni ancor la lingua a la mammella.

 

Non perché più ch'un semplice sembiante

fosse nel vivo lume ch'io mirava,

che tal è sempre qual s'era davante;

 

ma per la vista che s'avvalorava

in me guardando, una sola parvenza,

mutandom' io, a me si travagliava.

 

Ne la profonda e chiara sussistenza

de l'alto lume parvermi tre giri

di tre colori e d'una contenenza;

 

e l'un da l'altro come iri da iri

parea reflesso, e 'l terzo parea foco

che quinci e quindi igualmente si spiri.

 

Oh quanto è corto il dire e come fioco

al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi,

è tanto, che non basta a dicer 'poco'.

 

O luce etterna che sola in te sidi,

sola t'intendi, e da te intelletta

e intendente te ami e arridi!

 

Quella circulazion che sì concetta

pareva in te come lume reflesso,

da li occhi miei alquanto circunspetta,

 

dentro da sé, del suo colore stesso,

mi parve pinta de la nostra effige:

per che 'l mio viso in lei tutto era messo.

 

Qual è 'l geomètra che tutto s'affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova,

pensando, quel principio ond' elli indige,

 

tal era io a quella vista nova:

veder voleva come si convenne

l'imago al cerchio e come vi s'indova;

 

ma non eran da ciò le proprie penne:

se non che la mia mente fu percossa

da un fulgore in che sua voglia venne.

 

A l'alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgeva il mio disio e 'l velle,

sì come rota ch'igualmente è mossa,

 

l'amor che move il sole e l'altre stelle.

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PARADISO, XXXIII

VOCE N.L. TODARELLO

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