OPERAMONDO

 

Dans vos viviers, dans vos étangs,
Carpes,
que vous vivez longtemps!
Est-ce que la mort vous oublie,
Poissons de la mélancolie.

 

UN MONDO DI LIBRI

UN LIBRO DEL MONDO

 

VAGHE.STELLE

 

OPERAMONDOlibri LATORRE EDITORE

FRANCESCO
PETRARCA

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E EDITORE>

VOI CH'ASCOLTATE IN RIME SPARSE

SOLO E PENSOSO I PIU' DESERTI CAMPI

ERANO I CAPEI D'ORO A L'AURA SPARSI

QUEL VAGO IMPALLIDIR CH 'L DOLCE RISO

LEVOMMI IL MIO PENSER IN PARTE OV'ERA

QUEL ROSIGNOL, CHE SI' SOVE PIAGNE

CHIARE, FRESCHE E DOLCI ACQUE

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Voi ch'ascoltate in rime sparse il sono

di quei sospiri ond'io nudriva 'l core

in sul mio primo giovenile errore

quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,

 

del vario stile in ch'io piango e ragiono

fra le vane speranze e 'l van dolore,

ove sia chi per prova intenda amore,

spero trovar pietà, nonché perdono.

 

Ma ben veggio or sì come al popol tutto

favola fui gran tempo, onde sovente

di me medesmo meco mi vergogno;

 

e del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,

e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente

che quanto piace al mondo è breve sogno

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CANZONIERE, I

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Solo e pensoso i più deserti campi

vo mesurando a passi tardi e lenti,

e gli occhi porto per fuggire intenti

ove vestigio human l’arena stampi.

 

Altro schermo non trovo che mi scampi

dal manifesto accorger delle genti,

perché negli atti d’alegrezza spenti

di fuor si legge com’io dentro avampi:

 

sì ch’io mi credo omai che monti e piagge

e fiumi e selve sappian di che tempre

sia la mia vita, ch’è celata altrui.

 

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge

cercar non so ch’Amor non venga sempre

ragionando con meco, e io co llui.

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CANZONIERE, XXXV

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Erano i capei d'oro a l'aura sparsi

che 'n mille dolci nodi gli avolgea,

e ‘l vago lume oltra misura ardea

di quei begli occhi, ch'or ne son sí scarsi;

 

e 'l viso di pietosi color' farsi,

non so se vero o falso, mi parea:

i' che l'ésca amorosa al petto avea,

qual meraviglia se di súbito arsi?

 

Non era l'andar suo cosa mortale,

ma d'angelica forma; e le parole

sonavan altro, che pur voce humana.

 

Uno spirto celeste, un vivo sole

fu quel ch'i' vidi: e se non fosse or tale,

piagha per allentar d'arco non sana.  

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CANZONIERE, XC

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Quel vago impallidir che 'l dolce riso

d'un'amorosa nebbia ricoperse,

con tanta maiestade al cor s'offerse

che li si fece incontr'a mezzo 'l viso.

 

 

Conobbi allor sí come in paradiso

vede l'un l'altro, in tal guisa s'aperse

quel pietoso penser ch'altri non scerse:

ma vidil' io, ch'altrove non m'affiso.

 

Ogni angelica vista, ogni atto humile

che già mai in donna ov'amor fosse apparve,

fôra uno sdegno a lato a quel ch'i' dico.

 

 

Chinava a terra il bel guardo gentile,

e tacendo dicea, come a me parve:

Chi m'allontana il mio fedele amico?   top

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CANZONIERE, CXXIII

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Levommi il mio penser in parte ov'era

quella ch'io cerco, e non ritrovo in terra:

ivi, fra lor che 'l terzo cerchio serra,

la rividi piú bella e meno altera.

 

Per man mi prese, e disse: - In questa spera

sarai anchor meco, se 'l desir non erra:

i' so' colei che ti die' tanta guerra,

e compie' mia giornata inanzi sera.

 

Mio ben non cape in intelletto humano:

te solo aspetto, e quel che tanto amasti

e là giuso è rimaso, il mio bel velo. -

 

Deh perché tacque, e allargò la mano?

Ch'al suon de' detti sí pietosi e casti

poco mancò ch'io non rimasi in cielo.    top

 

CANZONIERE, CCCII

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Quel rosignol, che sí soave piagne,

forse suoi figli, o sua cara consorte,

di dolcezza empie il cielo e le campagne

con tante note sí pietose e scorte,

 

e tutta notte par che m'accompagne,

e mi rammente la mia dura sorte:

ch'altri che me non ò di ch'i' mi lagne,

ché 'n dee non credev'io regnasse Morte.

 

O che lieve è inganar chi s'assecura!

Que' duo bei lumi assai piú che 'l sol chiari

chi pensò mai veder far terra oscura?

 

Or cognosco io che mia fera ventura

vuol che vivendo e lagrimando impari

come nulla qua giú diletta, e dura.

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CANZONIERE, CCCXI

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Chiare, fresche e dolci acque,

ove le belle membra

pose colei che sola a me par donna;

gentil ramo ove piacque

(con sospir' mi rimembra)

a lei di fare al bel fiancho colonna;

herba e fior' che la gonna

leggiadra ricoverse

co l'angelico seno;

aere sacro, sereno,

ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:

date udïenza insieme

a le dolenti mie parole extreme.

 

S'egli è pur mio destino

e 'l cielo in ciò s'adopra,

ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,

qualche gratia il meschino

corpo fra voi ricopra,

e torni l'alma al proprio albergo ignuda.

La morte fia men cruda

se questa spene porto

a quel dubbioso passo:

ché lo spirito lasso

non poria mai in piú riposato porto

né in piú tranquilla fossa

fuggir la carne travagliata e l'ossa.

 

Tempo verrà anchor forse

ch'a l'usato soggiorno

torni la fera bella e mansüeta,

e là 'v'ella mi scorse

nel benedetto giorno,

volga la vista disïosa e lieta,

cercandomi; et, o pietà!,

già terra in fra le pietre

vedendo, Amor l'inspiri

in guisa che sospiri

sí dolcemente che mercé m'impetre,

e faccia forza al cielo,

asciugandosi gli occhi col bel velo.

 

Da' be' rami scendea

(dolce ne la memoria)

una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo;

e ella si sedea

humile in tanta gloria,

coverta già de l'amoroso nembo.

Qual fior cadea sul lembo,

qual su le treccie bionde,

ch'oro forbito e perle

eran quel dí a vederle;

qual si posava in terra, e qual su l'onde;

qual con un vago errore

girando parea dir: Qui regna Amore.

 

Quante volte diss'io

allor pien di spavento:

Costei per fermo nacque in paradiso.

Cosí carco d'oblio

il divin portamento

e 'l volto e le parole e 'l dolce riso

m'aveano, e sí diviso

da l'imagine vera,

ch'i' dicea sospirando:

Qui come venn'io, o quando?;

credendo d'esser in ciel, non là dov'era.

Da indi in qua mi piace

questa herba sí, ch'altrove non ò pace.

Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia,

poresti arditamente

uscir del boscho, e gir in fra la gente.  

 

CANZONIERE, CXXVI

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