LATORRE EDITORE OPERAMONDOlibri
ESPANSIONI |
DANTE ALIGHIERI
COMMEDIA INTRODUZIONE
SOGNARE AD OCCHI APERTI
Il
sociologo e filosofo francese Edgar Morin inizia il suo
libro Lo spirito del tempo parlando della nascita della cultura di massa:
“Mai la voce del mondo - un tempo sospiri di fantasmi,
bisbigli di fate, folletti e diavoletti, parole di geni e di
dei - era stata al tempo stesso fabbricata industrialmente e
venduta commercialmente.” (Morin 2002, 14). Parole, quelle
tra i trattini, adatte anche a descrivere un aspetto
essenziale della vita mentale del primo Medioevo, quando gli
uomini si aggiravano per un mondo che si presentava pieno di
misteri, ricco di significati nascosti. Era un mondo di
città murate, città cioè vissute come case, immerse in
quella che ai loro occhi appariva come una fitta foresta,
della quale non conoscevano i confini. La foresta, pur
essendo un territorio economicamente essenziale, era anche
il luogo verso il quale si accendevano le fantasie. Il luogo
delle apparizioni e delle voci. Un luogo nel quale era molto
facile “perdersi”. Perché, quando gli incivili del Nord
avevano invaso i territori della classicità, le loro
mitologie si erano fuse con quelle preesistenti. E la
foresta senza confini era diventata protagonista della
mente, occupando in essa quello spazio prima tenuto da campi
e giardini. In essa si erano incontrate ninfe classiche e
fate nordiche. La Chiesa delle origini, con uno sforzo di
riconversione culturale prodigioso, si era poi impadronita
delle due mitologie e le aveva inglobate in un nuovo
sistema, in una mitologia superiore ed esclusiva,
intollerante. Ci vollero secoli. La linea essenziale era
stata una sola: negare verità alle apparenze. Era consistita
cioè in una furibonda lotta culturale contro il “tempo degli
dei falsi e bugiardi”, che era stata anche una guerra al
“realismo pagano ”, alla incondizionata fiducia che gli
uomini prima di Cristo avevano concesso ai cinque sensi[1].
La parola d’ordine l’aveva enunciata molto precocemente il
combattivo Paolo di Tarso, l’apostolo dei Gentili, vissuto
nel primo secolo della nuova era: “Videmus per speculum in
aenigmate”. Come dire: non credete ai vostri occhi, perché
tutto quello che vedete sono enigmi. Gli enigmi sono fatti
per essere sciolti. Così, un po’ alla volta, gli uomini si
trovarono a vivere in una foresta di simboli da
interpretare. Nessuno più si accontentava di quello che
vedeva. Tutti erano pronti a rizzare le orecchie per
afferrare eventuali segnali provenienti da altri mondi. E
c’erano persone che a questo dedicavano la vita, santi
eremiti, antenne costantemente rivolte in alto, a captare
l’invisibile. Intanto gli uomini lavoravano, naturalmente,
si occupavano della cose della vita, ma una parte della loro
mente era costantemente in attesa. Il loro era un sogno ad
occhi aperti. Nei sogni noi vediamo le cose e le persone
relazionarsi stranamente tra loro, trasformarsi, fluttuare
nel tempo, essere se stessi e contemporaneamente essere
qualcos’altro. Saltano le coordinate spazio-temporali. Si
disattiva il principio di causa-effetto. Nei sogni fili
invisibili legano tra loro cose diverse, creando una rete
magica, un velo che avvolge tutto. Una volta svegli, se lo
ricordiamo, quello che ci viene da chiedere è “cosa avrà
voluto dire questo sogno?”. Gli uomini del Medioevo si
facevano la stessa domanda davanti a quella che noi
chiamiamo “realtà”. Pensavano che ogni cosa del mondo e ogni
evento della storia fosse stato scritto da Dio al preciso
scopo di comunicare con gli uomini e che Dio avesse gettato
su tutto la rete unica del significato supremo. Attenzione,
non parliamo di ingenui. I lettori di Dante erano tutt’altro
che ingenui. Gli abitanti di Firenze tra Duecento e Trecento
(come gli abitanti di Bologna, di Milano, di Napoli…) erano
cittadini orgogliosi e disinvolti, che non avevano niente in
comune con i contadini analfabeti e superstiziosi. Gente
colta, dura, commercianti e imprenditori, finanzieri e
artigiani, ben consapevoli del valore delle cose del mondo,
prima tra tutte il denaro. Ma secoli di monopolio culturale
ecclesiastico avevano formato la loro mente. E quando
s’interrogavano sul senso della vita, si trovavano a tu per
tu con il mistero e con la necessità di interpretarlo. Stava
a loro (guidati dalla “regina delle scienze”: la teologia)
capire il linguaggio simbolico di Dio e trarre, per esempio,
dai fatti della storia romana significati attinenti alla
storia sacra dell’uomo: anticipazioni. E stava a loro
stabilire relazioni tra i fatti del presente e quelli del
passato: repliche. In questo contesto psichico la metafora
universale è il libro. In un’epoca in cui il libro è un
oggetto prezioso e, per i più, misterioso, le menti si
servono del libro per spiegare ogni cosa che deve essere
memorizzata, interpretata, capita. “In quella parte del
libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe
leggere, si trova una rubrica la quale dice:
Incipit vita nova”,
così Dante comincia la sua
Vita nuova,
antefatto giovanile alla
Commedia. In
Inferno, quando
Brunetto Latini dice a Dante parole profetiche sul suo
futuro, il poeta/pellegrino risponde così: “Ciò che narrate
di mio corso scrivo, / e serbolo a chiosar con altro testo /
a donna che saprà, s'a lei arrivo” (XV 88-90). La memoria è
un libro in cui scrivere. Il “testo” poi deve essere
“chiosato”. In questo caso sarà Beatrice a commentarlo, cioè
a trarne il significato. In
Purg. XXX i libri più importanti, le Scritture, sfilano in figura di
persone. Uno di loro a un certo punto canta, invocando
l’arrivo di Beatrice:
Purg.
XXX 10-12
E in
Paradiso, quando
Dante vuole dare al lettore l’idea di aver visto in Dio il
tutto in nuce, quel tutto che si espande nel creato assumendo molteplici
forme, ricorre alla metafora del libro:
Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume
ciò che per l’universo si squaderna.
Par.
XXXIII 85-87
Nei
libri è contenuta la verità. Il mondo e la storia sono
libri. Da leggere. Il lettore moderno deve tenere ben
presente una differenza essenziale tra noi e loro. Noi siamo
del tutto convinti che i significati siano una cosa che
riguarda il lettore e l’oggetto libro. E anche nei confronti
di storia e natura abbiamo lo stesso atteggiamento: i
significati sono una convenzione umana. Loro pensavano che i
significati nei libri della natura e della storia, come nel
libro dei libri, la Bibbia, fossero “oggettivamente”
presenti. Ce li aveva messi Dio: “Perciò, dato che non è
possibile per l’uomo che vive nella carne conoscere alcunché
delle realtà occulte e invisibili a meno che non ne abbia
ricevuto qualche immagine e somiglianza dalle cose visibili,
ritengo che colui che tutto ha creato nella sapienza, abbia
creato ognuna delle specie di cose visibili in terra in
maniera tale da porvi un principio di conoscenza delle
realtà invisibili e celesti.” (Origene,
Commento al Cantico
dei Cantici). Nel tardo Medioevo non tutti si
sottomettono a questo modo di vedere. Guido Cavalcanti, per
fare un esempio famoso, fu accusato di essere ateo per via
della sua indifferenza per la cultura teologica e per le
cose sacre. Dante, suo grande amico allontanatosi poi da
lui, è invece convinto che quello che scrive nella sua
Commedia sia
ispirato da Dio. Si sente investito di un compito morale,
che è anche politico. Affida al lettore la sua cattedrale di
parole, anch’essa metafora del mondo e della storia. Quelle
parole serviranno a far rinsavire i fiorentini, gli
italiani, i sudditi dell’impero? Porranno un freno
all’invidia, alla superbia e alla avidità? Se sapranno
leggere, sì. Cosa vuol dire “se sapranno leggere”? Vuol dire
se sapranno andare oltre la lettera del racconto per
cogliere il significato nascosto. I padri della Chiesa non
avevano parlato d’altro: non vi fidate dei sensi. I sensi
sono indispensabili per cogliere la realtà, ma non fermatevi
a quello che essi rivelano. C’è altro da capire. Se ci si
ferma all’apparenza, i sensi, invece di essere uno strumento
di conoscenza, diventano un ostacolo, un velo che copre la
realtà profonda delle cose percepite. Dante scrive la sua
Commedia secondo
questo principio. Ci saranno lettori curiosi dei personaggi,
affascinati dalla descrizione dei tormenti infernali e delle
gioie paradisiache. E basta così. Ma ci saranno anche
lettori capaci di vedere il significato nascosto, quello più
profondo e più vero, che può, nei casi migliori, portare a
una mutazione interiore e a un conseguente nuovo modo di
vivere.
Tendenze verso la negazione del corpo erano
già presenti in epoca tardo-classica: “Numerose sono
le analogie tra queste raccomandazioni dietetiche e
i precetti che vi incontreranno più tardi nella
morale cristiana e nel pensiero medico: il principio
di una economia rigorosa tendente alla scarsezza,
timore delle sofferenze individuali o dei mali
collettivi che possono essere suscitati da disordine
nel comportamento sessuale: necessità di un rigido
controllo dei desideri, di una lotta contro le
immagini e di un annullamento del piacere inteso
come obiettivo dei rapporti sessuali. Queste
analogie non sono vaghe rassomiglianze: vi si
possono individuare delle continuità. [...] Se si
considerano esclusivamente questi elementi comuni,
si può avere l'impressione che l'etica sessuale
attribuita al cristianesimo o anche all'Occidente
moderno fosse, quanto meno per alcuni dei suoi
principi essenziali, già vigente nell'epoca di
massima affermazione della cultura Greco-romana.”
(Foucault
2004, 121). Ma è il cristianesimo medievale
che rende strutturale la “rinuncia alla carne”.
OPERAMONDOlibri OPERAMONDOlibri LATORRE EDITORE
OPERAMONDOlibri LATORRE EDITORE |
Copyright 2022
LATORRE EDITORE
VIALE DELLA RIMEMBRANZA 23
15067 NOVI LIGURE AL ITALY
+39 339 22 50 407