LA SIMULTANEITA' DELLA VISIONE
Le
forme di maggiore evidenza nelle quali si concretizza il
modo di osservare gli eventi tipico del tardo Medioevo sono
quelle sacre rappresentazioni chiamate in Francia “Mystères”.
Intorno alla metà del sec. XII, sulla piazza di una città
del nord della Francia, davanti alla chiesa, si rappresenta
Le Jeu d'Adam (Il mistero d'Adamo), dramma liturgico bilingue (latino e dialetto
anglo-normanno) di anonimo francese, che può essere
considerato il testo battesimale del nuovo teatro. La scena
rappresenta il paradiso terrestre e l'inferno. I due
ambienti sono ricostruiti con elementi caratterizzanti:
fiori e alberi da frutto per il paradiso, 'porte' da cui
esce fumo e rumore 'di caldaie e pentole' per l'inferno, che
si trova dall'altra parte del palcoscenico. In mezzo altri
'luoghi deputati'. Anche la piazza viene utilizzata: quando
i diavoli trascinano Adamo ed Eva dal paradiso terrestre
all'inferno, scorrazzano 'per plateas’, cioè in mezzo al
pubblico. E agli attori le didascalie ordinano di spaventare
e assalire gli spettatori, che devono sentire di essere
figli dei due peccatori e peccatori anch'essi, destinati
all'inferno. La disposizione spaziale determina il
significato profondo dello spettacolo. Per la parte dei
diavoli, che saranno protagonisti di tutto il teatro
tardo-medievale, si prevede una recitazione fortemente
caratterizzata. I diavoli, nemici e seduttori dei cristiani
(e soprattutto delle cristiane) sono interpretati dai
giullari, mentre le altre parti sono affidate a dilettanti
del paese. Un altro importante testo anglo-normanno dello
stesso periodo è la
Seinte Resureccion, che suggerisce una dislocazione
spaziale analoga: “En cette manere reciton/ La seinte
resureccion./ Primerement apareillons/ Tus le lieus e les
mansions”. È la prima volta che compare in uno scritto il
termine ‘mansions’ (dal latino ‘mansiones’, ‘stanze’) ad
indicare i vari luoghi deputati della scenografia. Il testo
prosegue:
“Il crocefisso per primo è messo/ e poi il sepolcro
appresso./ Una prigione ci deve essere/ per tenere dentro i
carcerati./ L'Inferno sia messo da quella parte, e le
mansions dall'altra parte/ e poi il Cielo; e agli stalli/
prima Pilato coi suoi vassalli./ Sei o sette cavalieri avrà/
Caifa sull'altro stallo sederà [...] Nel quinto siano i
discepoli di Cristo./ Le tre Marie siano nel sesto [...]”.
Il
Jeu d'Adam e la
Seinte resureccion sono
i primi esempi di quello spettacolo all’aperto con scena
multipla che diventerà tipico di tutto il teatro religioso
europeo medievale.
“Non esiste, nei teatri del Medioevo, una ‘forma’ dello
spazio del teatro e della scena e non di teatri (nel senso
dello spazio) si tratta ma di rappresentazioni agite in
spazi che dalla rappresentazione stessa vengono o costruiti
o unitariamente qualificati. Quando non è solo l’azione
dell’attore a creare lo spazio ‘separato’ o non si tratta di
un solo palco per attirare l’attenzione ed essere visti,
l’elemento base delle diverse modalità rappresentative è il
luogo deputato (la ‘casa’ nelle diverse lingue), polo di
riferimento visivo e simbolico dell’azione, ma anche
elemento costruttivo dello spazio teatrale". (Cruciani 1992,
49).
I
luoghi deputati possono indicare un ambiente aperto (mare,
strada, orto di Getzemani...) o un edificio (casa di Maria,
tempio di Gerusalemme, palazzo di Erode, abitazione di
Lazzaro...) e in questo caso prendono il nome di ‘casa’ (mansion,
Haus, house) perché sono proprio costruiti come piccole
case, o edicole stilizzate come vediamo nella coeva pittura
romanico-gotica, aperte sui quattro lati, con tendine
scorrevoli. Quando gli attori sono nei pressi di un luogo
deputato, gli spettatori automaticamente dislocano l'azione
in quell'ambiente particolare, che a volte può essere
indicato semplicemente da una scritta. La scena per luoghi
deputati, duttile e convenzionale, è perfettamente
funzionale a un teatro che attraversa nelle sue storie i
continenti e i millenni. I luoghi deputati a cui si dedicano
più cure scenografiche sono l'inferno e il paradiso che
stanno agli estremi del palco, poli opposti dell'eterna
lotta tra il bene e il male, secondo la visione tipica del
cristianesimo medievale. L'inferno assume una tipologia
fissa a bocca di mostro a ganasce mobili, da cui escono i
diavoli urlanti, con fumo e fiamme: nei suoi pressi si
scatena la fantasia grottesca dei giullari e l'ingegnosità
di macchinisti, rumoristi e addetti agli ‘effetti speciali’.
Il paradiso in genere è un'edicola a due piani, in cui la
parte superiore è costituita da una macchina scenica a ruote
che evoca le sfere celesti. Tra inferno e paradiso: il
mondo, a rendere visivamente sensibile la concezione della
storia come il luogo in cui l'uomo decide con le proprie
opere quale destino lo attende. La presenza costante di
tutti gli attori sul palcoscenico e i continui spostamenti
da un luogo all'altro trasformano la piattaforma scenica in
una specie di miniatura ingrandita, un mondo brulicante
delle presenze più disparate, con personaggi storici vicini
a personaggi della mitologia e della Bibbia, borghesi in
abito contemporaneo vicini al re di Babilonia o di Roma,
angeli vestiti di bianco e animali veri e finti, diavoli
urlanti, corpi straziati, santi in preghiera, bimbi che
cantano... Il palcoscenico medievale vuole rappresentare
tutta la storia e tutto il mondo simultaneamente. Il
pubblico prende posto di fronte alla scena, in parte seduto
su una scalinata, in parte in piedi proprio davanti al
palco. Questa seconda zona (parterre) è utilizzata anche per
l'azione degli attori, come per la scena dei diavoli nel
Jeu d'Adam.
La
scena multipla medievale è frutto del modo di sentire il
tempo e lo spazio tipico dell’uomo medievale. Nel Medioevo
il tempo non viene concepito come mutamento ed evoluzione.
Ogni realtà viene percepita come ferma e stabile. I
cambiamenti visibili sono solo increspature della superficie
delle cose, la cui sostanza è immobile, data una volta per
tutte. Questo non avvertire come reale il cambiamento crea
un atteggiamento anacronistico, antistorico, nelle
produzioni culturali e artistiche medievali. Il passato e il
presente sono una cosa sola, anzi il presente è reale in
quanto contiene il passato. Tipico di questo atteggiamento
mentale è il rapporto contraddittorio che il Medioevo ha con
la classicità:
“Per lo spirito medievale l’antichità classica era troppo
remota e nello stesso tempo perentoriamente presente perché
potesse essere concepita come un fenomeno storico. Da un
lato si sentiva profondamente la continuità senza fratture
della tradizione, per cui, ad esempio, l’imperatore tedesco
era considerato diretto successore di Cesare e di Augusto, i
grammatici guardavano a Cicerone e Donato come ai loro
antenati e i matematici facevano risalire la loro genealogia
a Euclide. Dall’altra si sentiva che una frattura
insuperabile esisteva tra la civiltà pagana e quella
cristiana. Queste due tendenze non potevano tuttavia
equilibrarsi in modo da consentire un sentimento di distanza
storica. In molti il mondo classico prendeva un carattere
remoto, favoloso come l’Oriente pagano, sicché Villard de
Honnecourt poteva chiamare una tomba romana ‘la sepouture
d’un sarrazin’ e Alessandro il Grande e Virgilio finivano
per essere considerati maghi orientali. Per altri il mondo
classico era la fonte prima di un sapere altamente
apprezzato e di istituzioni rese venerabili dal tempo." (Panofsky
1962, 53-54).
Il
concetto di sviluppo, e di presente come germe del futuro, è
del tutto assente nella cultura medievale. Le epoche vengono
compresse in un unico tempo, un presente onnicomprensivo che
ha il suo cardine nel sacrificio di Cristo. “Una volta che
il Medioevo ebbe realizzato una sua civiltà e trovato i suoi
modi di espressione artistica, fu impossibile apprezzare o
addirittura comprendere ogni fenomeno che non avesse un
denominatore comune con i fenomeni del mondo contemporaneo".
(id., 54). I gesti, le azioni ritornano, una rete metafisica
sempre uguale lega tutto a tutto. Il tempo e lo spazio sono
attraversati da nodi, i fili rimandano lontano. Ogni cena è
allacciata con trame eterne alla Cena. I cronisti medievali
attribuiscono ai personaggi del passato modi di pensare del
presente, gli artisti rappresentano i personaggi biblici
vestiti secondo la moda medievale, sui palcoscenici dei
misteri si incontrano e parlano personaggi di epoche
lontane. In realtà esistono solo due epoche, e sono due
epoche morali, non cronologiche: quella terrena e quella
divina. L’eterno e il terreno sono i due tempi che
interessano l’uomo medievale. E il tempo eterno e divino è
il solo che abbia vera realtà. I due tempi non sono
incomunicabili. Il tempo eterno irrompe nel tempo terreno
con manifestazioni della presenza divina: miracoli,
apparizioni, impronte di angeli sulle rocce, reliquie di
ogni tipo. (Un best-seller del XIV secolo fu il libro
The Travels of Sir
John Mandeville, libro sicuramente scritto a tavolino,
che consiste in un lungo repertorio di luoghi numinosi,
luoghi cioè che conservano in sé la prova tangibile del
tocco divino). D’altronde l’incarnazione di Dio in Cristo
non è il più clamoroso punto di contatto tra i due mondi?
Cristo è Dio, cioè la somma delle sostanze incorruttibili ed
eterne, ma vive la sua vita nel tempo, soffre, sanguina
sangue umano e muore sulla croce implorando l’aiuto del
padre.
Anche
lo spazio medievale risponde a queste caratteristiche
‘morali’. Non esiste uno spazio misurabile e uguale,
preesistente alle azioni dell’uomo. La dimensione morale
spiega e giustifica ogni cosa. L’uomo medievale non riesce a
immaginare lo spazio e il tempo ‘vuoti’ dell’azione
dell’uomo, preesistenti e autonomi, e quindi non attribuisce
ad essi i caratteri di omogeneità e misurabilità che per noi
invece sono loro intrinseci. La geografia medievale è
geografia morale. La cronologia medievale è cronologia
morale. Il mondo rappresentato da Dante è un mondo che porta
i segni della storia morale dell’uomo: al centro la città
santa di Gerusalemme, luogo eccellente per segni concreti
della presenza divina; sotto la crosta terrestre la grande
voragine creata dalla caduta di Lucifero (la terra si è
ritirata per sottrarsi al contatto col demonio!). Il
viaggio, lo spostarsi nello spazio, è sempre un
pellegrinaggio, coincide con una modificazione morale. Le
immagini medievali (dipinti, miniature, sculture) ci
colpiscono per la sproporzione tra ambiente e personaggi. I
personaggi sembrano schiacciati in ambienti rappresentati
molto più piccoli del reale e senza riguardo per la
prospettiva dello sguardo. Ma l'ambiente senza l'azione
dell'uomo, senza la sua storia di salvazione, non interessa
l'uomo medievale, non ha vera realtà, non esiste.
La
scena multipla è anch’essa uno spazio morale, uno
spazio-tempo in cui sono compressi tutti i luoghi e tutti i
tempi. I personaggi biblici, quelli della classicità,
dell’Oriente, del mondo contemporaneo vivono in un presente
comune e possono spostarsi da un’epoca all’altra e da un
luogo all’altro con pochi passi, non per pura convenzione
teatrale, come verrebbe da pensare a noi moderni, ma per
perfetta corrispondenza al mondo mentale degli uomini
medievali, in cui il tempo e lo spazio sono entità che
esistono solo in quanto ‘teatro’ della storia morale del
mondo.