OPERAMONDO

Dans vos viviers, dans vos étangs,
Carpes,
que vous vivez longtemps!
Est-ce que la mort vous oublie,
Poissons de la mélancolie.

 

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LA CORRETTA PRONUNCIA ITALIANA 

 

In questo ambito va affrontato il problema rilevante della corretta pronuncia italiana, che spesso rappresenta un ostacolo non indifferente o addirittura insormontabile.

Per prima cosa, perché dobbiamo imparare a parlare secondo la corretta pronuncia italiana?

Ci sono tanti ottimi motivi.

 

Per coloro che esercitano professioni in cui il parlare fa parte integrante dell’attività professionale, è indispensabile esprimersi in una lingua italiana che non abbia cadenze regionali. Questo dà un carattere professionale all’espressione, aggiunge un qualcosa di pulito, di definito alle argomentazioni. E questo è un gran vantaggio in ogni occasione. Per coloro poi che intendono fare gli attori, va da sé che devono sapere recitare il monologo di Amleto senza far pensare che si tratta di una versione siciliana, o veneta, o toscana. Infatti in tutte le scuole di recitazione serie si dedica molto tempo allo studio della ortoepia cioè della corretta pronuncia italiana. Né si può vincere un provino teatrale se non si possiede questa competenza.

Sia chiaro che questo non è affermato in disprezzo dei dialetti. Anzi molta letteratura italiana, e molto teatro italiano, sono in dialetto. E per un attore è una grande risorsa possedere un dialetto. Ma bisogna che sia in grado di parlare anche in perfetto italiano.

 

Un secondo motivo, non meno importante a mio parere, è la soddisfazione di parlare appunto in perfetto italiano. Il senso di possesso della lingua proprio così come deve essere. Il gusto di parlare correttamente la nobile lingua di Dante e di Leopardi, la più antica tra le lingue romanze. Lo studio della corretta pronuncia quindi può essere affrontato anche solo come un modo per migliorare se stessi, il proprio modo di esprimersi, il proprio modo di essere.

 

Il terzo motivo è la consapevolezza, la padronanza della articolazione che l’esercizio ortoepico porta con sé. Dedicando tempo ad esercitare la nostra bocca a dire i suoni così come devono essere e non come è abituata a fare, diventiamo padroni della nostra voce, della articolazione, della espressione. Impariamo a dosare le forze, a regolare il ritmo. Impariamo ad amare il fatto stesso del parlare. Tutti i bravi attori acquisiscono una padronanza del parlare che conosce le sfumature della voluttà. È un piacere, una volta superate tutte le difficoltà tecniche, sentire come docilmente i suoni escono dalla nostra bocca con forza e semplicità, come si legano l’un l’altro, scrocchiando, esplodendo, sibilando nel flusso della catena parlata: “La grana della gola, la patina delle consonanti, la voluttà delle vocali, tutta una stereofonia della carne profonda: l'articolazione del corpo, della lingua [...] nella loro sensualità, il respiro, la rocaille, la polpa delle labbra, tutta la presenza del muso umano (che la voce, la scrittura, siano fresche, morbide, lubrificate, finemente granulose e vibranti come il muso di un animale), perché riesca a trascinare lontanissimo il senso e a gettare, per così dire, il corpo anonimo dell'attore dentro al mio orecchio: qualcosa granula, crepita, accarezza, gratta, taglia: è godere”. (Roland Barthes).

 


 






 
 

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