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DANTE ALIGHIERI
LA VITA NUOVA TRAMA ![]()
La vita nuova - La trama
Riassumendo, Dante, nella
Vita nuova, ci racconta: “Quando avevo solo nove anni, vidi una
fanciulla, anch’essa di quasi nove anni, vestita di rosso,
bellissima, tanto da sconvolgere ogni mio spirito. Tremai a
vederla e pensai: ‘Ecco un dio che sarà mio padrone’. Da
allora quel dio, Amore, ha signoreggiato la mia anima,
dandomi ordine di rivedere ‘quella angiola giovanissima’. E
io ubbidivo, cercandola. E ogni volta che la rivedevo, per
strada, ero così colpito dalla sua bellezza e dalla nobile
semplicità del suo portamento da esclamare tra me: ‘Questa
non è figlia di uomo mortale, ma di dio’. E la sua immagine
‘continuamente meco stava’. Passati nove anni, un giorno, la
incontrai, vestita di bianco, in compagnia di due gentili
donne più grandi di lei. Lei rivolse lo sguardo verso me,
che me ne stavo timido in un angolo, e mi salutò con tanta
grazia che a me ‘parve allora vedere tutti li termini de la
beatitudine’. Erano le nove, ne sono sicuro. Il suono della
sua voce mi diede tanta dolcezza che corsi a rinchiudermi
nella mia camera. Pensando a lei mi prese un soave sonno ‘ne
lo quale m’apparve una maravigliosa visione’. In una nuvola
rossa di fuoco vidi un signore dall’aspetto terribile a
guardarlo, ma, stranamente, sorridente. Mi disse: ‘Io sono
il tuo padrone’. Nelle sue braccia dormiva una donna nuda,
avvolta solo di un velo sanguigno. Era lei, la donna del
saluto. Il signore teneva in mano una cosa che sembrava
bruciare. Mi disse: ‘Ecco il tuo cuore’. Poi svegliò la
donna che portava in braccio e le diede da mangiare il mio
cuore... e lei mangiava timorosamente. Poi il signore, che
era Amore, da lieto divenne triste e si mise a piangere
amaramente. Riprese in braccio la donna e sparì verso il
cielo. Io ero agitatissimo tanto che mi
svegliai. Era la prima delle ultime nove ore della notte. Non sapevo come interpretare il mio
sogno. Scrissi allora un sonetto in cui lo descrivevo e lo
inviai agli amici poeti per chiedere la loro opinione:
A ciascun’alma presa e
gentil core. Nessuno di loro seppe interpretare il
vero significato di quel sogno, significato che ora è invece
chiarissimo: il pasto del cuore ardente significava la
corresponsione amorosa di Beatrice, il volo finale tra le
braccia di Amore la sua morte prematura. Ma tra coloro che
mi risposero ci fu chi ora è ‘il primo de li miei amici’.
Allora la nostra amicizia cominciò. In seguito a quella visione notturna io
divenni talmente debole e fragile che molti amici si
preoccuparono di me e mi chiedevano. Io rispondevo che era
Amore, ma non rivelavo il nome della donna per la quale
languivo. Alle loro insistenti domande ‘sorridendo li
guardava, e nulla dicea loro’. Un giorno avvenne che ‘quella
gentilissima’ sedeva in chiesa. Io la guardavo da lontano,
beato. Sulla linea retta tra i miei occhi e lei sedeva una
bella donna, che mi guardò più volte, stupita del mio
sguardo che lei, per errore, sentiva indirizzato verso sé.
Tutti si accorsero dei suoi sguardi e tutti pensarono che
fosse lei la donna per la quale mi struggevo. Ne fui
contento. Così il mio segreto era protetto da quella gentile
donna, ‘schermo de la veritate’. Scrissi versi in suo onore.
Scrissi poi versi in onore di una giovane, morta
prematuramente, che io avevo visto in compagnia di Beatrice:
Piangete, amanti, poi
che piange Amore. Ma la donna dello schermo si allontanò
da Firenze. Anche io dovetti allontanarmi dalla mia città e
mentre andavo, sospirando di dovermi allontanare dal mio
vero amore, ecco che incontro Amore in veste di pellegrino,
triste e timido. ‘Ho qui il tuo cuore, mi disse, lo porto
dalla donna che è stata tua lunga difesa alla donna che sarà
tua difesa’. Allora scrissi il sonetto che inizia
Cavalcando l’altrier
per un cammino. Tornato a Firenze, cercai la donna che
Amore, mio signore, mi aveva indicato ‘nel cammino de li
sospiri’. La trovai e feci di lei la mia difesa. Lo feci
tanto che le parole che si dicevano a proposito di me e di
lei superarono i limiti del decoro. Fu allora che la
gentilissima ‘distruggitrice di tutti li vizi’ mi negò il
suo saluto. Io che, ogni volta che la vedevo, sentivo dentro
di me bruciare una fiamma di carità, che mi faceva perdonare
chiunque m’avesse offeso, ‘in solinga parte andai a bagnare
la terra d’amarissime lagrime. E poi [...] m’addormentai
come un pargoletto battuto lagrimando’. Sognai e mi apparve
il mio signore, come un giovane vestito di bianco, e mi
disse che io mi ero comportato avventatamente e che Beatrice
mi aveva tolto il saluto perché aveva sentito cose di quella
gentile ‘dello schermo’ che ne potevano infamare il nome.
‘Ora, aggiunse, benché Beatrice sappia bene di essere lei il
vero oggetto del tuo amore, devi in ogni caso scrivere versi
in cui confermi questo tuo amore, iniziato nella tua
puerizia’. Cosa che io feci componendo la ballata
Ballata, i’ voi che tu
ritrovi Amore. In seguito a quest’ultima visione, fui
preso da grande agitazione. La mia mente era attraversata e
combattuta da pensieri contrastanti. Io non sapevo cosa
pensare e come comportarmi. Scrissi allora il sonetto
Tutti li miei penser
parlan d’Amore. Un giorno un amico mi portò a una festa
di nozze. C’erano molte belle giovani, amiche della sposa,
che, secondo l’usanza, le facevano compagnia durante il
primo pranzo in casa dello sposo. Quando sentii un tremore
iniziare dalla parte sinistra del petto per poi irradiarsi
per tutto il corpo. Dovetti appoggiarmi al muro e, quando
alzai gli occhi, vidi, tra le giovani amiche della sposa,
Beatrice. Tutti i miei spiriti furono distrutti tranne
quelli della vista. Tutte si accorsero del mio deplorevole
stato e cominciarono a prendersi gioco di me con la
gentilissima. Il mio amico, allora, che mi aveva portato lì,
mi trascinò fuori e mi chiese che cosa avessi. Io risposi:
‘Io tenni i piedi in quella parte della vita dalla quale non
si può tornare’. Poi corsi alla ‘camera de li sospiri’ e
scrissi, piangendo e vergognandomi di me stesso, il sonetto
Con l’altre donne mia
vista gabbate. Se conoscesse la mia vera condizione,
pensavo, quella donna non si prenderebbe gioco di me, ma
proverebbe pietà. Un pensiero mi diceva: che senso ha
cercare di vederla, se poi la sua vista ti fa tanto male? Un
altro pensiero rispondeva: ogni volta che penso a lei, sono
così preso dalla sua bellezza che ogni ricordo vergognoso
svanisce e il desiderio di rivederla mi domina. Ormai la mia condizione era nota a
molti. Un giorno vidi alcune donne che mi guardavano e
sorridevano tra loro. Una di loro infine mi rivolse la
parola e chiese: a che scopo ami quella donna se non puoi
sopportare la sua presenza? Io risposi: un tempo lo scopo
del mio amore era ricevere il suo saluto. Ora lei me lo nega
e quindi lo scopo del mio amore adesso è ciò che nessuno,
neanche lei, può negarmi. E lei: in che cosa consiste questa
tua nuova beatitudine? Risposi: nelle parole di lode che io
scrivo per la signora del mio cuore:
Donne ch’avete
intelletto d’amore. In seguito, su sollecitazione di chi
voleva sapere che cosa io intendessi per amore, scrissi il
sonetto Amore e ‘l cor
gentil sono una cosa. Poco dopo volli spiegare come la
mia donna sa risvegliare amore:
Ne li occhi porta la
mia donna amore. E venne il giorno del grande dolore di
Beatrice, perché il suo buonissimo e amatissimo padre morì.
E molte donne incontrai che uscivano tristemente dalla casa
e dicevano che Beatrice piangeva così che chiunque la
guardava si sentiva morire di pietà. Io porsi le mani agli
occhi e piansi e volevo scappare e nascondermi, ma restai lì
per sentire ancora parlare di lei. Passarono altre donne
piangenti, tutte parlando tra loro del grande dolore di
Beatrice, di come piangeva e di come si lamentava. E
parlavano, quelle donne, passandomi accanto, anche di me,
che mi vedevano lì in stato tale che quasi non mi
riconoscevano. In seguito a questo dolore fui preso da
una malattia che mi ridusse come uno scheletro e non potevo
muovermi dal letto. Il nono giorno della mia infermità fui
preso da un sonno agitato, una visione si impadronì della
mia mente indebolita e vidi visi di donne scapigliate che mi
dicevano: ‘Anche tu morirai’. E poi facce strane che
urlavano: ‘Sei morto, sei morto’. E vidi una città immersa
nella tristezza e uccelli che cadevano morti, il sole che si
oscurava e stelle di colore mai visto, e tremore di terra.
‘Non sai che Beatrice è morta?’ mi disse un amico nel sogno.
E vidi una moltitudine di angeli che salivano verso il
cielo, e davanti a loro vidi una nuvoletta bianca. Poi vidi
me stesso che andavo a vedere il corpo morto di lei. E
c’erano donne che le coprivano il volto con un velo bianco.
Io pregavo la morte che venisse a prendere anche me. Allora
presi davvero a piangere a dirotto. La donna che stava
vicino al mio letto, per accudirmi, si spaventò delle mie
lacrime e iniziò anche lei a piangere. Tutte le donne di
casa corsero al mio letto. Io raccontai loro il mio sogno,
senza dire il nome della gentilissima. Quando guarii scrissi
la canzone Donna
pietosa e di novella etate, in cui raccontai tutto il
mio sogno. Dopo questa vana immaginazione, avvenne
un giorno che, essendo io seduto e pensoso, sentii un
tremito nel cuore, come se fossi alla presenza di Beatrice.
Poi vidi colei che fu donna del mio primo amico, che si
chiama Giovanna [la Vanna dell’elenco delle trenta] e che
noi chiamavamo Primavera per la sua bellezza. Dietro di lei
vidi venire la gentilissima. Pensai: il nome Giovanna è
adatto a chi viene prima della verace luce [Giovanni
Battista precursore di Cristo]. E anche Primavera è nome
giusto perché indica chi viene prima: prima-verrà. Molti, moltissimi erano, come me,
colpiti dalla grazia di Beatrice e quando lei passava per la
via, correvano a vederla e stavano a bocca aperta, presi
dalla semplice nobiltà del suo andare, e si sentivano
purificati dal suo sguardo. Per questo io scrissi il sonetto
Tanto gentile e tanto onesta pare e poi
Vede perfettamente onne salute /chi la mia donna tra le donne vede. Poi venne il giorno il Signore della
Giustizia chiamò a sé la gentilissima, e anche quel giorno
fu contrassegnato dal numero nove, in vari modi, come la sua
vita. Perché nove è il numero del miracolo, essendo la sua
radice tre, cioè la Santissima Trinità. E lei era un
miracolo. La sua dipartita lasciò la città ‘quasi vedova
dispogliata da ogni dignitate’. I miei occhi consumarono
tutte le lacrime, così che io non avevo più modo di dare
sfogo alla tristezza. Allora pensai di sfogare l’anima mia
con ‘parole dolorose’ e scrissi la canzone che comincia
Li occhi dolenti per
pietà del core. Passato un anno giusto dal giorno in
cui la benedetta era diventata cittadina del Cielo, io mi
trovavo in un posto dove, ricordandomi di lei, disegnavo
angeli sopra una tavoletta. Mi accorsi che alcuni uomini
guardavano quello che stavo disegnando e scoprii che erano
lì da tempo, senza che io me ne accorgessi. Mi alzai, perché
erano uomini degni di rispetto, li salutai e dissi loro:
‘C’era con me qualcun’altro, per questo non mi sono accorto
della vostra presenza’. Quando fui nuovamente solo, ripresi
a disegnare angeli e pensai queste parole:
Era venuta ne la mente mia / quella donna gentil cui piange
Amore. Dopo qualche tempo, una volta, per
strada, mi resi conto che i dolorosi pensieri trasparivano
dal mio aspetto sbigottito. Mi guardai intorno per vedere se
qualcuno mi stesse guardando. Vidi una giovane donna assai
bella, che mi guardava da una finestra con espressione di
grande pietà. Sempre succede che i miseri, quando vedono
qualcuno avere compassione di loro, si mettono a piangere,
come avendo pietà di se stessi. Così, per non mettermi a
piangere davanti alla bella donna, andai via dicendo tra me:
‘Tra me e quella donna c’è un nobilissimo amore’. E scrissi
il sonetto: Videro gli
occhi miei quanta
pietate. Ogni volta che mi vedeva, quella donna
cambiava di colore, diventando pallida come d’amore. E io mi
ricordavo del colore della mia Beatrice. Certe volte, non
potendo in altro modo sfogare la mia tristezza, cercavo lei,
che sembrava essere capace di tirare fuori le mie lacrime.
Così scrissi: Color
d’amore e di pietà sembianti. Così il mio piacere di vederla cresceva
e io me ne crucciavo e maledivo la leggerezza dei miei
occhi. ‘Voi, occhi miei, pensavo, che sapevate far piangere
chi vedeva la vostra dolorosa condizione, ora prendete gusto
dallo sguardo di un’altra donna... ma non poserò mai di
ricordarvi la donna per cui, maledetti occhi, dovete e
dovrete piangere, fino alla morte’:
L’amaro lagrimar che
voi faceste [...]
Voi non dovreste mai, se non per morte, / la vostra donna,
ch’è morta, obliare. Molte volte volli rivedere la donna
pietosa, e mi piaceva sempre di più. Troppo, pensavo. Poi
però pensai: ‘Questa donna gentile, giovane e saggia, forse
l’ha mandata Amore, perché la mia vita si riposi’. Pensieri
contrastanti agitavano la mia anima. E sempre più forte era
il pensiero che mi diceva: ‘Perché vuoi continuare a vivere
nel dolore e non prendere la gioia che Amore ti offre?’. Ma
contro questo pensiero ecco che un giorno mi apparve una
visione impressionante. Vidi Beatrice, vestita di rosso come
la prima volta che la vidi, ed era giovane infatti come
allora. Ecco che ricominciai a pensare a lei, che non era
più di questa terra, con la stessa intensità di prima e mi
pentii del vile desiderio che avevo coltivato. Il primo
amore mi prese con tutta la sua forza. Tornai a sospirare e
a piangere per Beatrice. I miei occhi, per il grande flusso
di lacrime, erano spesso cerchiati da un colore purpureo.
Giusto castigo per la loro vanità. Dopo questo periodo di tribolazione,
successe che vidi passare per Firenze alcuni pellegrini che
andavano a Roma per vedere la Sacra Sindone e, vedendoli
passare, pensavo tra me che loro non sapevano niente di
Beatrice e che se avessi avuto modo di parlare a loro di
lei, certo li avrei commossi fino alle lacrime. Allora
scrissi Deh peregrini
che pensosi andate. Poi scrissi un sonetto per delle
donne che mi chiedevano di descrivere la mia condizione:
Oltre la spera che più
larga gira, dove descrivo il mio sospiro che sale al
Cielo per incontrare la divina Beatrice. Poi mi apparve una mirabile visione, di
tale forza che decisi di non parlare più di lei fino a che
non avrei trovato il modo di onorarla degnamente. E questo è
il mio proposito, se Dio mi darà il tempo di realizzarlo”.
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