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DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA
INTRODUZIONE


 

IL VELAME

 

Quindi tutto il mondo è lì, che aspetta di essere interpretato. Casuale è solo ciò che non incontra una mente separata. L’uomo vede, percepisce tramite i sensi. I sensi hanno un duplice aspetto: sono indispensabili per percepire il mondo, ma possono nascondere la verità, se la mente si lascia incantare dal “velo”, cioè dal fascino dell’apparenza. Anche Petrarca userà la parola “velo” come “bella apparenza”. In particolare la bella apparenza di Laura, che, in un sonetto famoso del Canzoniere (CCCII) gli appare in sogno: “Te solo aspetto, e quel che tanto amasti / e là giuso è rimaso, il mio bel velo”. Laura è morta ed è in Cielo. Visita in sogno il poeta che l’ha amata e gli dice che per essere pienamente felice le manca solo la sua vicinanza e il corpo (“il bel velo”) che è rimasto nella terra e che riavrà il giorno della risurrezione. Il corpo è un velo, che nasconde la verità, che è l’anima. Chi si ferma a quello che i sensi percepiscono non “squarcia il velo”, si limita alla superficie, non attinge alla verità. Dante usa una parola specifica: “velame”. La usa tre volte nella Commedia, sempre con il significato di “velo che nasconde una verità”. Nel XXXIII dell’Inferno, Ugolino racconta a Dante il sogno “che del futuro mi squarciò il velame” (verso 27). È il luogo in cui la parola “velame” è utilizzata da Dante nel modo più chiaro: il sogno deve essere interpretato per dichiarare il messaggio nascosto dietro il velo. In questo caso si tratta del futuro, che viene “aperto” nella sua ineluttabile realtà. Ugolino sogna il suo nemico, Ruggieri degli Ubaldini, nei panni di un capocaccia. E sogna che i cacciati siano un lupo con i suoi cuccioli. Sogna che lupo e lupacchiotti (che chiama “padre e figli”) vengono raggiunti dalle cagne e sbranati. Al risveglio capisce che la morte è vicina, per lui e per i suoi quattro piccoli, chiusi con lui nella torre della Fame. Lui è il lupo del sogno. Le cagne sono la plebe pisana, aizzata dall’Ubaldini. Come succede nei sogni, passato, presente e futuro sono contratti in una sola scena, un rebus: la caccia è già avvenuta, perché Ugolino ora è rinchiuso. Ma lo sbranamento ancora no. È futuro. Il sogno racconta a Ugolino il passato e il futuro. Un’altra volta, troviamo “velame” in Par. XIX 30, dove Dante dice a Cunizza di sapere bene che tutti i beati vedono la giustizia di Dio “senza velame”, cioè direttamente, senza il velo dei sensi. È il modo di conoscere tipico dei beati, che anche Dante proverà, per un attimo, negli ultimi versi della Commedia, quando ficcherà gli occhi nella verità assoluta, nel tutto senza tempo e senza limiti. Lì non c’è bisogno dei sensi, utile ma fallace strumento messo a disposizione dei mortali. Lì la conoscenza avviene per contatto diretto tra la mente di Dio e quella dei beati. È l’estasi, che uomini speciali possono raggiungere già in vita, per frammenti, per fiammate, per anticipazioni. Un’altra volta delle tre, “velame” appare in Inf. IX 62 per un avvertimento diretto al lettore. Dante e Virgilio sono sotto le mura rosse della città di Dite. Stanno per assistere al furibondo spettacolo delle Erinni e di Medusa. Dante si rivolge direttamente al lettore per raccomandargli di non limitarsi alla lettera: “O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, / mirate la dottrina che s’asconde / sotto ‘l velame de li versi strani”. La Commedia è imitazione del mondo e della storia, anch’essa deve essere letta dall’uomo assennato come il mondo e la storia, cercando di capire il senso nascosto. Dante usa proprio la parola “s’asconde”. Lui, l’autore, ha nascosto il significato dentro le apparenze, come Dio, l’autore sommo, le ha nascoste nella sua opera: mondo, storia e Sacre scritture.

Per noi lettori moderni il problema è capire che cosa si nasconde dietro il velame. In verità era un problema anche per i lettori contemporanei. Montagne di libri documentano, nei secoli, la ricerca puntigliosa del significato dei singoli passi della Commedia. A volte senza frutto. Nel commento ai canti se ne renderà conto dove possibile. Ma il significato generale non appare misterioso: la Commedia è “figura veritatis”, immagine della verità. Essa descrive il mondo dei morti che sono puniti e premiati “secondo giustizia”. Il messaggio è preciso, ed è un messaggio per i vivi: la libertà del pensiero e dell’azione devono essere governate dalla ragione. Il “libero arbitrio” è l’essenza dell’uomo e la remunerazione dipende dal suo esercizio. E, siccome il messaggio ha la forza di chi lo enuncia, Dante mette in gioco se stesso: è lui che affronta in prima persona “la guerra sì del cammino e sì della pietate”. È moralmente coinvolto e deve dare l’esempio.

 

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